Luce del sud – Franco Rota Candiani

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“L’essere artista è la vita stessa: è vivere voglio dire” [da una lettera di Jackson Pollock a suo padre LeRoy-1932]

Inaugurazione: 21 ottobre 2015 alle ore 18.00 – Antico Refettorio di p.za Bertarelli, Milano
Nove sacchetti gialli dell’Esselunga e una scritta: Love accompagnata da un segno che tende all’infinito. L’opera d’arte “concettuale” misura un metro e venti per un metro e venti. Un quadrato, dunque che, secondo l’autore, rappresenta l’amore: “Esselunga che ama i clienti, che amano Esselunga”. Franco Rota Candiani l’ha realizzata per la sua mostra, Luce del Sud, che sarà a Milano, per due settimane, dal 21 ottobre, nell’Antico Refettorio di piazza Bertarelli 4, uno spazio destinato a diventare un nuovo propulsore culturale. Il catalogo di Luce del Sud è pubblicato da Skira e a cura di Philippe Daverio, anche autore della prefazione che curò e ospitò le opere di Rota Candiani per la prima volta nel 1994, nella galleria di via Montenapoleone (tante le personali dell’artista, una anche a New York nel 1999 alla Casa della cultura). Dal 22 ottobre l’accesso alla mostra sarà attraverso la adiacente galleria Teseo Arte, in Corso Italia 14.


La prima caratteristica dei lavori pittorici di Franco Rota Candiani è l’assoluta libertà del gesto e del comportamento. È egli da questo particolare e bizzarro punto di vista uno degli ultimi artisti che reputano che la ricerca debba costantemente superare se stessa, al rischio di fare apparire il percorso intrapreso talvolta inceppato da salti logici. Ma l’arte per definizione vanta il diritto alla illogicità. E si pone quest’arte sull’unica linea irrinunciabile, che è quella dell’autenticità del viaggio intrapreso.In questi ultimi vent’anni Rota Candiani ha iniziato un gioco creativo visivo dove la pittura era pulsione per descrivere il suo mondo montano e feroce. Il gesto ne era naturale conseguenza, così come la passione per la materia e il colore. Il gesto serviva a tramutare la sensazione del vissuto, del visto e del percepito in una icona incisiva e plastica. La forza della natura si faceva forza gestuale. Come se fosse stato lui una sorta di guerriero giapponese d’altri tempi intento a riassumere con un segno solo la determinazione d’una battaglia ideale. Dal gesto nacque allora il segno, il suo segno, personale e intransigente. Ora l’esperimento va oltre: il gesto vive in se, senza il bisogno della citazione che lo aveva generato. La corsa verso la sublimazione della forma non è cosa del tutto nuova: è una caratteristica quasi fisiologica della cultura semiotica della modernità. È la strada seguita da Piet Mondrian passando dalla natura dei boschi alla natura del quadrato, è la strada seguita da Lucio Fontana nel passare dalla plastica barocca a concetto pure del taglio. È la strada che segue Rota Candiani nel passare dalla sua duplice natura raffigurativa, alpina e mediterranea, al segno che la compone, che è sempre un segno di colore.
Perché se vi è una eredità del mondo nordico è innegabilmente quella del pensiero, ma se vi è una pulsione che proviene dal vasto mondo marittimo, questa non può che essere cromatica, come già ben lo fecero capire gli artisti che agli albori delle nostra modernità optarono per il bagliore provenzale matissiano. Si poteva, si doveva, andare oltre.
Nel cuore della questione è sita l’isola di Pantelleria che guarda idealmente verso Sidi Bu Said dove già Paul Klee scoprì il fascino totale della luce e dei cromatismi corrispondenti.
E forse Rota Candiani lo sa, ma di sicuro lo percepisce, nel gesto cromatico e sublimato della sua più recente sperimentazione.

Philippe Daverio
(Tratto dall’introduzione del catalogo Skira)

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